Lettera ricercata e rivisitata da Aurora Favero e Giovanni Bovolenta.
Immigranti veneti verso il sud del mondo.
Interessante la descrizione del viaggio, delle condizioni che si sono lasciati alle spalle.
Jesus Maria, Argentina, 11 agosto 1879
Padre mio carissimo,
Vengo con questo mio scritto a farvi sapere il mio stato di perfetta salute e così spero di voi e di tutta la cara famiglia.
Ho fato buon viagio, anche se io e la putìna avemo soferto di sconvolto di stomaco.
1500 siamo partiti in nave a vapore, due nati e quattro morti.
23 giorni di corsa, 8 fermati e il 1° marzo siamo rivate a Buenos Ayres.
Ah padre, sapeste le lagrime agli occhi al veder el mè marito alla Casa della Migrazione, che la piccola più lo conoseva!
Ora vi darò le notizie di quest’America. Questi americani veste braghe larghe come i turchi quando i monta a cavallo, i gà un telo de lana in colori con un buco nel mezzo per la testa, a mò di giubba.
A vederli son scuri, mette soggeziòn, anche se oramai non ci son più di quei indiani burberi a minacciar la vita de noialtri coloni. La gente è buona, dicevano che sono indiani ma sono tutte cabale.
Qua i beve un té che chiamano matto. No ghé bestie feroci qua, le bestie feroci son in Italia, son i signori. Quei ché da noialtri i sofre, i fa bèn a venir qua, ma chi magna polenta due volte al dì senza far debiti, meglio che stia in Italia, che tanti qua maledisse l’America e Cristoforo Colombo.
Io padre ho portato pochi vestiti e qua i vestiti sono cari. Che se avesse l’intenzione di venire mio cugino Giorgio con la moglie Natalia, che porti vestiti e coperte. Ma anche sementi, e atrezi da casa – che il marito vorìa intentar di piantar vigneti dei nostri.
Io non ho niente altro da dirvi soltanto che abbracciarvi e baciarvi di cuore, e sono la vostra affezionata figlia
Maria